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Collegare i punti ovvero il reale valore dell’esperienza nel lavoro

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Tempo di lettura: 3 min. e 51 sec.

Scritto ascoltando: Foo Fighters – Time like These 

Uno dei ricordi di quando ero piccolo che più ho chiari in mente è legato alla Settimana Enigmistica, il noto magazine di cruciverba. I miei genitori ne erano appassionati ed ogni settimana arrivava in casa una nuova edizione. Io ero piccolo e nessuno di quei giochi, seppur mi incuriosissero da impazzire, era adatto a me. Nessuno eccetto uno, il disegno da formare unendo in successione i diversi puntini numerati. Ve lo ricordate? Credo proprio di sì.

Il gioco in sé era banale, come banali erano le raffigurazioni che comparivano una volta collegati tutti i numeri. Ma nella sua semplicità questo gioco aveva la capacità di tenerti “attaccato”. Uno poteva impegnarsi al massimo ma sino all’ultimo era quasi impossibile comprendere quale fosse la figura finale. Certo, ci provavo ad ogni nuovo punto collegato, ma niente, restava comunque difficile, se non impossibile, indovinare.

Serviva lungimiranza, o meglio visione, perché ogni singolo tratto che creavi era rivolto non all’ora, ma alla realizzazione dell’obiettivo finale, il disegno.

Le esperienze nel lavoro sono i punti che creano il nostro disegno odierno

Ripensandoci bene in quest’ultimo periodo, mi sono accorto che anche le esperienze lavorative sono così. Molte di quelle che facciamo trovano senso solo ad anni di distanza, acquisendo un valore che mentre le vivevamo non avremmo mai considerato.

Parlo anche di quelle più insignificanti. Prendiamo ad esempio i miei primi lavori. Ho cominciato lavorando per l’azienda di mio zio, l’Altea Srl, una realtà che opera nel campo della pressofusione. Mi occupavo non solo di comunicazione, anzi. Pulivo, montavo macchine, giravo per le pressofusioni di mezza Europa (luoghi non certamente in). Non certamente un periodo “rose e fiori”, che in quel momento, forse frustrato dai miei sogni di neolaureato, mi pareva a dir poco deludente.

Bene, nel 2016 sono stato costretto a rivalutare nettamente il periodo passato con mio zio, soprattutto quando ho iniziato ad occuparmi della comunicazione di una multinazionale operante nel settore anche della pressofusione. Conoscere l’ambiente, i termini, le tecnologie mi ha permesso non solo di semplificare e migliorare il lavoro, ma soprattutto guadagare una credibilità ancor più salda con il cliente. Un’esperienza che all’epoca non avrei mai immaginato che mi sarebbe tornata utile.


Le esperienze lavorative passate sono il bagaglio che ci fa essere ciò che siamo oggi
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Questa è solo una delle tante. Il periodo in JD Group come responsabile comunicazione mi ha fatto conoscere il settore bancario, utile oggi quando scrivo per 6Sicuro o quello appena trasferito in Toscana a ValdarnoPost, un giornale online del Valdarno, mi ha messo dinanzi il duro ruolo del commerciale e spiegato il mondo dell’advertising online.

Lavorare su se stessi significa costruire il nostro domani

Piccoli mattoni che anni dopo hanno costruito gran parte di quello che oggi so e faccio. Una costruzione di cui all’epoca non conoscevo certo il progetto. Ma poco importa. Conta che sono stati tremendamente utili e che è stato giusto fare tutto ciò. Certo, me ne rendo conto ora, supportato dalle certezze di oggi, ma ciò non toglie che sia stato fondamentale buttarmi.

È questo infatti il messaggio: aver il coraggio e la voglia di fare, di mettersi alla prova anche con situazioni che non sembrano ideali, perché non possiamo sapere a cosa ci porteranno. Nella migliore delle ipotesi sapranno contaminarci e prepararci ad uno dei numerosi momenti clou che avremo nella nostra vita lavorativa.


Uscire dalla propria comfort zone e mettersi alla prova per contaminarsi e crescere
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Se 5 anni fa mi avessero descritto dove sono e cosa faccio adesso avrei riso, prendendo tutto come uno scherzo. Ed invece eccomi qua, tutto vero, verissimo per un mai dire mai che in questo caso è davvero indicato.

Non sono certo un fan di Steve Jobs, ma trovo che il suo celebre discorso fatto agli studenti dell’Università di Stanford sia un perfetto riassunto di quanto dico. “Connect the dots” appunto, collegare i puntini, un’azione che puoi fare solo dopo, ma che porta con sé tutta la differenza del mondo per una carriera.

Non dobbiamo aver paura quindi di tracciare tante linee sul nostro foglio bianco, perché sono proprio queste che potranno creare il nostro personalissimo capolavoro. Provare per credere.

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